Archivi del mese: febbraio 2013

Università pubblica

di Francesco Bagnardi

Non ho scelto l’università per le opportunità di lavoro che mi avrebbe potuto dare. Con me le teorie neo-liberiste del capitale umano ci fanno sempre brutta figura.
I miei studi non sono investimenti economici. Non ho fatto il calcolo di quanto mi sarebbero costati i 5 anni di studio e in quanto tempo avrei ammortizzato la spesa. Non sono aggregato su cui calcolare la redditività dei prestiti d’onore o la percentuale di rischio di insolvenza, non sono l’attore razionale neoliberale che ad ogni scelta fa il calcolo di entrate e uscite, tira la linea e massimizza l’utile.
Non sono all’università per fare gli esami il più in fretta possibile con merito a scapito di chi arriva secondo, ne per il pezzo di carta che “ce lo chiede il mercato del lavoro”. Non sono il “fesso” di Fermare il Declino, oppure lo “sciocco razionale” di cui parla Sen.

Sono il figlio orfano di modernità solida che non esiste più. Sono l’impiegato a progetto del call-center e della cassa della coop. Il lavoratore a nero che tira su i muretti a secco d’estate, quello che consegna volantini e lavora in pizzerie d’inverno.
Mi arrangio per pagare tasse, affitto e libri riempiti di note a matita che custodisco con gelosia in una libreria di tre soldi comprata al centro commerciale.
Sono portatore sano di flessibilità lavorativa, di precarietà esistenziale, di faccia sempre uguale nata arresa e sconfitta ancor prima di lottare.

Sono cittadino. Ho cittadinanza ma porto diritti perché persona. Sono lavoratore nero, malpagato e sfruttato per strappare giorno per giorno un diritto costituzionale allo studio che è istanza morale oltre che norma, che custodisce una certa idea di giustizia ed uguaglianza, una certa idea di società.
La mia iscrizione non è la scelta razionale di progetto di vita misurato in reddito, al tasso di inflazione crescente ma non troppo, grazie alle politiche di stabilità della BCE. È invece la scelta di classe costruita sulla convinzione antica che lo studio renda migliori. Non per ideologia ma per antropologia, sono portatore di certi valori e paradigmi, di declinazioni di futuro, di idee di società. Non sono semplificabile a homo oeconomicus, a calcolatore razionale di massimizzazione dell’utile. Divido l’esperienza del mondo al piano terra e la divido con facce dignitose di ultimi e sconfitti, accartocciati negli aggregati statistici che hanno pretesa di misurare la realtà, offesi perché considerati primariamente consumatori, contati per essere flessibilizzati ad esperimento della resistenza della loro consistenza umana.
Sono luogo di tensioni morali, di apertura e di ascolto, di tempi e modi di democrazia.
La mia libertà non è riducibile al solo possedere, non credo nell’ordine naturale del mercato, all’assenza di società.
Sono costruito socialmente, formato in università pubblica, ultimo baluardo di democrazia che resiste al mercato, ultima custode di saperi e critica nel deserto dell’efficienza della tecnica, dell’amministrazione del tangibile e dell’imbroglio di egemonie culturali di utopie regressive.
Sono mediazione di istinti e aspirazione d’essere migliore, più che calcolatore di panieri di consumo. Non sono riducibile a giacimento di forza lavoro, ma istanza di dignità resistente a mercificazione dei sensi.
Ho vent’anni, rappresento generazioni che so di ritrovare in strada a riempire piazze e dare sostanza alla densità morale di questa società.

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